Era il 1839 e un giovane pittore tedesco ,Johann David Passavant , figlio di un commerciante di provincia, che aveva frequentato la scuola di Jacques-Louis David a Parigi e poi seguito i corsi dai mistici Nazareni a Roma, decide di recarsi a Urbino per scoprire qualcosa di più del suo artista preferito: Raffaello, di cui in seguito diventerà un grande e riconosciuto esperto.
Come spesso accade,che quando cerchi una cosa ne trovi sempre un’altra, Passavant per caso viene a sapere che il padre di Raffaello aveva abitato un anno assieme a Piero de’ Franceschi, l’autore di quella piccola tavola semi abbandonata che scorge nel retro della sacrestia del Duomo di Urbino e di questa racconta: “ Rappresenta Cristo alla colonna davanti a Pilato. In primo piano si vedono tre gentiluomini, uno dei quali, vestito sfarzosamente di seta e oro, è dipinto alla maniera olandese.
Oggi la tavola de “ La Flagellazione” di Piero della Francesca si può ammirare nel Museo Nazionale delle Marche , nella cornice dello splendido palazzo ducale di Urbino, una delle meraviglie architettoniche italiane. Piero di Burgo, come veniva chiamato, è un autodidatta, concittadino e amico di Luca Pacioli, il francescano matematico autore della Divina Proporzione,ma anche di altri insigni matematici e filosofi. Egli studia e applica i dettami di Pitagora e Archimede per raggiungere la perfezione dei propri disegni. Verrà anche chiamato pittore e matematico: suo è il testo “ De prospectiva pingendi” dove redige un trattato sulla prospettiva albertiana e il “ Libellus de quinque corporibus regularibus” , un ostinato trattato sulla quadratura del cerchio, itinerario già percorso da Niccolò Cusano. Egli non è solo un pittore ma un intellettuale che studia lo spazio, un esoterico in cerca della pietra filosofale.
Un pittore intrigante, dunque. Di lui rimangono forse quindici o venti opere e sono sufficienti a farne un colosso della storia dell’arte, Piero è fondatore di una visione che rimane intimamente legata alla sua terra, che si estende tra Toscana, Umbria e Marche e si ferma ad Urbino dove abita uno dei suoi più importanti committenti: Federico da Montefeltro.Inizia qui la sua carriera sotto l’egida del suo mecenate, prototipo del principe di allora: aggressivo, sveglio, combattente, sicuro di sé al punto che si fa ritrarre con il famoso taglio del naso che gli permetteva di sbirciare a destra con l’unico occhio che gli era rimasto. Piero e Federico sono l’emblema della corte di Urbino, così diversa da quella di Firenze, dove c’è solo il potere del denaro in primis e dove si possono avere belle donne. Coltissimi i Medici ma ancora più colto è Federico da Montefeltro con la sua biblioteca seconda solo a quella del Vaticano e che con i suoi mezzi da mercenario – era uno dei più abili condottieri al soldo dei vari potentati – guadagnava fortissime somme che reinvestiva tutto nel suo ducato. Quello che rimane nel terra del Montefeltro oggi è davvero un capolavoro di abilità architettonica, pittorica, stilistica, artigiana.
Ma ritorniamo alla Flagellazione di Piero della Francesca, che non è solo un enigma è un vero e proprio rompicapo.
Molti storici dell’arte, nonché poliziotti veri, utilizzando le moderne tecniche investigative di riconoscimento dei volti, hanno dato la loro versione della tavola, la cui unità di misura è raffigurata nella striscia nera che vedete sopra la testa del uomo con la barba a punta in primo piano e cioè cm. 4,699. La tavola è sette volte per dieci questa unità.
Le varie interpretazioni provano a spiegare simbolicamente chi si nasconde dietro gli attori presenti in scena, chi sia Pilato seduto, o chi sia l’uomo in broccato dall’altra parte della tavola ma soprattutto chi rappresenti il giovane uomo biondo con la casacca rosso porpora – le vesti color porpora appartenevano solo ai re, alti prelati ed imperatori : ottenere questo colore era costosissimo, veniva usata la cocciniglia, questi poveri animaletti non erano poi così facili da trovare – e con i piedi nudi. Di alcuni il riconoscimento è più chiaro, gli uomini con la barba ad esempio sono greci, perché a quei tempi solo loro la portavano. Anche chi indossa il turbante è facilmente riconoscibile. Su tutti gli altri si scatenano le più possibili congetture di cui molte plausibili, specie quelle più recenti.
Esistono, anche su internet, differenti e avvincenti versioni della tavola e sui personaggi raffigurati. Per chi volesse avere un’idea più approfondita del periodo nel quale Piero è vissuto, uno dei più incredibili e affascinanti del nostro paese, vi consiglio la lettura del testo di Silvia Ronchey, “L’enigma di Piero”; lascia sorpresi e con un irrefrenabile desiderio di saperne ancora di più: sulla prospettiva,la divina proporzione, la quadratura del cerchio e ancora su Leon Battista Alberti e la sua “ De Re Architectura” , la filosofia in generale e su Platone in particolare, ma ancora di più sulla storia dei personaggi che vissero in questo straordinario e così fecondo periodo: Federico da Montefeltro, Sigismondo Pandolfo Malatesta, Bessarione, la dinastia dei Paleologo, Mistrà, Giorgio Gemisto Pletone, Bisanzio, Venezia, Carpaccio, Manuzio , Marsilio Ficino, i Medici, Pio II, Cleopa Malatesta… la lista seguiterebbe ma mi fermo qui.
E’ stato un periodo esaltante e pieno di prospettive appunto, dove gli innumerevoli testi greci che venivano portati in Italia dagli esuli in fuga vennero consultati, ricopiati, protetti. Molti di questi finirono per costituire il patrimonio basico di magnifiche biblioteche come la Marciana a Venezia e la Laurentiana a Firenze.
E’ difficile riassumere in poche parole il senso di quest’opera senza rischiare di farne un vero polpettone pseudo romanzato che lascio a chi è più esperto di me, ribadisco solo che varrebbe la pena di lavorare su questo particolare periodo storico e di scriverci infiniti romanzi. Si ha la sensazione che il contenuto del suo messaggio, quanto di quei tempi i dotti hanno appreso e approfondito con lo studio dei testi greci , sia stato appena accennato, almeno in Italia, e che per varie ragion di Stato hanno poi preso percorsi differenti, lontani da qui.
Leopardi, a mio avviso, fù uno di quelli che in seguito più ne avvertì il vuoto.