le mie Marche
Cibo e Vino

Sulla strada per andare dalla città di Ancona alla Baia di Portonovo si incontra uno spiazzo sulla sinistra prima della curva di Monte dei Corvi, quello da cui si scopre un incantevole panorama del gol­fo. Sorge lì una costruzione bassa che da una parte guarda la strada e dall’altra rimane in cima alla collinetta a picco sul mare. Chi passa vede due entrate: una con la tenda di rafia, quella della vendita tabacchi e della mescita con i lunghi tavoli e le panche e il piccolo negozio di prodotti alimentari, e l’altra della sala in cui si consumano i pasti, anche questa arredata con i tavoloni.

Si chiama la Vedova. Osteria antica questa. Nel 2012 è stata dichiarata dalla Regione Marche “locale storico” e una targa ap­pesa sul muro esterno lo testimonia. Osteria che origina da una disgrazia, o meglio dal coraggio di una donna nell’affrontare la malasorte. Virginia Fabretti, giovane madre di due figli e in at­tesa del terzo, perse il marito ferroviere che morì in un inciden­te di lavoro. Per tirare avanti la famiglia si inventò un mestiere mettendo a frutto quello che sapeva fare meglio: cucinare. Fu così che nel 1912 con i soldi della liquidazione del defunto ma­rito aprì il locale e divenne ostessa. La prima osteria sorse poco lontano dall’attuale. Virginia lavorò sodo e appena fu in grado di farlo comprò il terreno e costruì una casetta con annesso spazio per una locanda, la stessa che si può frequentare oggi. Le ristrutturazioni hanno rispettato l’aspetto originale, si sono li­mitate ad aggiornarne la funzionalità e non ne hanno snaturato l’estetica. Fin dai primi anni gli avventori furono i contadini dei dintorni e quelli che venivano a piedi dalle vicine frazioni, ma non mancavano i signori che arrivavano in carrozza. In seguito la clientela ha continuato ad aumentare con il proliferare dei veicoli a motore e con la costruzione della nuova strada.

In oltre 100 anni il locale è stato sempre tenuto in vita da donne: dopo la vedova Virginia sua figlia Carola, poi le figlie di Carola, Virginia e Mirella. Gli uomini di famiglia hanno solo fatto da supporto, ma la conduzione è stata sempre tenuta dalla parte femminile della famiglia. La Virginia nipote ha preparato tanti e tanti panini destinati a tante e tante radiose giornate di mare. Colpivano quei suoi occhiali con le lenti spesse, tagliava il prosciutto a mano con una calma che le permetteva di fare delle fette precise senza sbagliare o sprecare nulla. Credo che non vi sia anconetano che non si sia fermato almeno una volta per prendere quella fragrante bontà fatta con il pane del forno a legna della vicina frazione di Varano e con il prosciutto di produzione nostrale o con quel particolare pecorino tenero e saporito. E molti, anche forestieri, hanno assaporato le vivande di una tradizione che offre piatti cucinati in maniera casereccia e gustosa. Questa osteria si è poi distinta per il servizio offerto alla popolazione nei momenti dif­ficili: durante la guerra, quando la gente fuggiva da una città che, sorgendo intorno al porto, subiva furiosi bombardamenti, e nei giorni del terremoto del 1972, quando molti anconetani lasciavano il centro abitato invaso dalle macerie. In tempi più sereni gli avventori, oltre che a cena, usavano fermarsi prima del mare frettolosamente per la vo­glia di arrivare presto sulla spiaggia o sostare al ritorno lungamente e pigramente, quando un bicchiere di vino, qualche fetta di formaggio e delle olive erano di ristoro dopo una giornata di sole.

Nella foto, panorama dal cortile del locale

Ora sono cambiate le abitudini, sia della gente sia delle donne che gestiscono il locale e ormai da oltre un decennio dei servizi originari sono rimasti solo la tabaccheria e il ristorante.

 

Adesso i pranzi e le cene sono preparati solo su preno­tazione, sia perché i posti sono limitati, sia perché “le vivande devono essere servite fresche di giornata”. Attualmente il pesce è scomparso dal menù e si cucinano solo le carni. Le materie prime sono ricercate per genuinità e freschezza. Con una mi­mica che tradisce una punta di rimpianto, Virginia racconta che la spesa non viene più fatta dai contadini vicini come una volta, ma dai macellai e al mercato ortofrutticolo, posti dove è più agevole il rifornimento e la registrazione della contabilità. Viene acquistata carne di provenienza locale, come assicurano i commercianti, d’altronde “bisogna fidasse di chi la vende” e il pollame è quello allevato a terra “sennò non po’ venì bono il po­tacchio”.

 

Gli occhi di Virginia non ci vedono più, ma lei è sempre lì presente nel locale a ispirare il lavoro di chi è rimasto. La sorella Mirella continua a lavorare in cucina e probabilmente conse­gnerà il testimone a Svetlana, la moglie russa di suo figlio, una ragazza che si dà da fare per imparare la tradizione culinaria del posto, che continua a spandere afrori di tagliatelle, cannelloni, lasagne, gnocchi, umidi, potacchi, e fritti, tutte specialità casarecce.

E così la Vedova passerà ancora una volta di mano in mano e ancora una volta in mani femminili.

 

Tratto dal volumetto “Sapori d’Ancona, storie e ricette di donne d’osteria” di Carla Virili, edito da Affinità Elettive

 

 

1 commento

liliana Brunetti 14 Giugno 2019 at 15:31

Tornando da scuola, passavo volutamente da Monte Spaccato a comprare la filetta di pane cotto a legna di Serafino, il sabato ne prendevo due. Virginia prendeva le monete dal piano del bancone, accanto alla bilancia ( quella della foto ) e le tastava con le mani,perché già aveva gravi problemi alla vista. se non avevo fatto in tempo a preparare niente per pranzo, rimediavo sempre con prosciutto e pecorino. Poi, mentre risalivo in macchina, guardavo incantata il panorama che si apriva davanti a me e pensavo che sarebbe stato tanto bello non andare sempre di fretta…

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